domenica 30 novembre 2008

VIAGGIO DI GENERE








Django si svegliò postumo (ma era ancora presto per saperlo), il letto intriso di sudore, la voglia di innocenti evasioni manco fosse in una canzone di Baglioni, deceduto qualche giorno prima.
Si stava rodendo il fegato e non era il bere della sera prima, era quella dannata casa. Insomma, era abituato ad essere l'eroe sudista ( ma non terrone) e solitario, tutti dovevano dipendere più che dalle sue labbra dalla sua fumanti colt (che non ce l'ha perché ci aveva quell'arma strana dentro alla bara che poi pensavi che c'era l'anima sua invece era un buco di sceneggiatura o che ne so io).
Non gli andava giù il fatto che con lui abitassero Maciste e Goldberg, non sopportava il loro ostinarsi a essere così grossi. Era capitato una sera che Django, sulla soglia col sigaro, stava guardando Goldberg dormire; non si sa che sogno stesse facendo (una volta sveglio neanche lui si ricordava) ma ad un certo punto, sempre nel sonno, prese il letto e cominciò ad usarlo come chest press per rifarsi i pettorali, seguendo la ferrea dieta senza carboidrati e piena di proteine. Serie di ripetizioni massacranti del calibro di quattro serie da quindici – dodici – dieci, da fare cinque minuti pe' vent'annni.
Eppure ce la faceva.
Goldberg era il più gentile del trio dell'appartamento di Bologna dove i tre eroi facevano finta di studiare (anche i genitori sapevano benissimo che era una scusa per farsi le canne e protestare gratis contro il sistema).
Tutto successe con quella presa di coscienza, Django non poteva rimanere piccolo, era finito il periodo che andava di moda l'eroe solitario, ci volevano eroi grossi, muscolosi e sprezzanti del raziocinio.
Svegliò i suoi compagni di stanza (i culturisti dovevano dormire almeno otto ore al giorno, per crescere correttamente e in maniera grossa) e disse loro che aveva avuto un'illuminazione, una rivelazione, una magia degna di harry potter.
Doveva partire, il viaggio era ciò che contava, non la destinazione.
Fecero in quattro e quattro nove col resto id due i bagagli e montarono nel pick up di maciste che ci aveva nu tricipite che faceva paura, misero lo stereo a palla (la loro natura teramana non era morta insieme al grasso che gli aveva martoriato l'adolescenza, altra causa della loro scelta di rifassi lu fisico, non era pe menà, era pe esse grossi e basta) e partirono a razzo verso boh.
Ad un certo punto il maciste, un po' stordito dagli steroidi che avevano la dimensione di asteroidi se ne uscì con: - Sci, va be', ma do cazzo yemo? Mi scete fatt partì in quattro e meno quattro e mo shting a zzero; do yemo?
Aveva ragione, Django nella sua delirante visione aveva visto male, troppo preso a misurarsi il cazzo (se il tricipite non era il suo forte doveva pur sempre trovarsi un punto forote).
Non sapevano che fare eppure avevano percorso 76 chilometri in due minuti perché anche il pick up stava grosso (alimentato a benzina e proteine).
Ormai erano partiti, da qualche parte sarebbero dovuti arrivare, no? O mi sbaglio? No, non mi sbaglio perché la storia è mia, qui comando io e faccio il cazzo che voglio, nessuno mi può controllare, a parte il grande fratello, il grande fardello e la massoneria degli illuminati.
Django ebbe un'altra visione; capì che l'acido del sabato prima ancora non era stato smaltito completamente; troppe visioni e non erano concesse in un western come il suo, mica era Keoma, e che cazzo!!!
Gira là, - fece lo sprezzante pistolero. Maciste e Goldberg avevano capito che anche il commissario Tanzi era con loro, soltanto che era il suo spirito ad aver preso temporaneamente posizione nel corpo di Franco Django nero.
Un bastardo correva sul motorino, lo raggiunsero e Djagno Tanzi cominciò a prenderlo a pugni, producendo il classico suono dei pugni del poliziottesco, rumore talmente irreale che se fosse reale un pugno di quelli sarebbe come andare a settanta all'ora contro un muro con una seicento non corazzata, alla faccia del pick up del wrestler che ora s'era gasato e dava pugni a maciste per farlo entrare in quella temporanea fratellanza creatasi da quel pestaggio poliziospaghettiwesternwrestlinghiano.
Django tornò Django, il commissario Tanzi era svanito (si stava prendendo a punti col commissario Betti, suo alter ego che però se vai a vedere è uguale, cambia solo il cognome, il rumore dei pugni era sempre lo stesso, STUSHH STUSSHH).
Questa volta la visione la ebbe Maciste; si ricordò di quando era con Ercole al centro della terra e si stavano pestando con gli zombi vampiri. Si chiese se Mario Bava per scrivere quella sceneggiatura si fosse fatto un viaggio parecchio storto, in fatti il film parlava di un infernale viaggio. L'unica cosa brutta del film era la spalla comica che non c'entrava niente, appesantiva il film e non faceva ridere neanche un cazzo tubercoloso fracio mille volte.
Se la mamma degli stronzi è sempre incinta, la madonna dovrebbe sfornare stronzi ogni tre secondi, pensò il culturista Goldberg entrato temporaneamente in simbiosi coi suoi compagni di viaggio. Se prima, in due righe neanche, gli ho fatto fare 76 kilometri, dopo tutte 'ste righe, secondo voi, quante ne avevano potuti percorrere?
Il cartello li stava dando il benvenuto nel mondo dei kaiju. Ci erano arrivati, e da sobri.
Maciste prese il pick up e dalla gioia lo scaraventò a Goldberg che ci si mise a palleggiare dalla felicità e lo passò a Django che rimase schiacciato, avevano fatto male i conti, lui non era un supereroe cazzuto come loro, era solo un vecchio pistolero senza mani ma che usava le croci del cimitero per sparare ai cattivi che se ci fai caso spara un colpo in più rispetto a quelli che può avere nel tamburo una colt (sono ignorante e per me le pistole spaghettiwestern sono tutte colt, gni puoi fa' nind) e quel colpo sarebbe la morte spirituale di Djagno che ora se lo erano tolto dai coglioni.
Scapparono in punta di piedi; non sapevano se la polizia del mondo dei kaiju li avrebbe riconosciuti (Maciste e Goldberg) e come succedeva nel mondo reale invece di dargli l'ergastolo gli avrebbero chiesto l'autografo per il figlio tossico che era appena uscito dalla comunità (e non era niente male per uno di dodici anni).
Dei palazzi iniziarono a crollare, Maciste bestemmiò Zeus e Goldberg maledì quel frocio ridicolo di Mc Mahon perché non gli aveva aumentato lo stipendio.
Il painkiller mica lo passava la mutua, eh!!!
Era Godzilla che si era incazzato come la bestia che era, gli stavano rompendo i coglioni come al solito.
Aveva avuto una settimana davvero pesante. Sua zia, prossima alla menopausa, aveva avuto un'emorragia pesantissima. Gliela aveva descritta così: Stavo lavorando, ad un certo punto ho sentito una perdita, poi sempre più e mi sono ritrovata un lago per terra. Inizialmente pensai alle stigmate (la zia era molto religiosa) ma poi pensai che la fica non è posto per manifestazioni sacre, anzi, la chiesa aborra quella ferita redditizia, prediligendo i culi teneri e innocenti di infanti appartenenti alla loggia massonica fides vita.
Questo più quello, più che era un mese che il padrone di casa gli scassava il cazzo, Godzilla aveva sbroccato di nuovo. La gente scappava da tutte le parti, sembrava di stare a Napoli a capodanno a mezzanotte e tre minuti, non ci si capiva più un cazzo. Maciste ebbe un attacco di panico che manifestò mettendosi a fare flessioni, cinque minuti per vent'anni (ormai, almeno mentalmente se l'era compilata la scheda degli esercizi, nsì scappava).
In questo racconto continuano a scappare tutti; sarà che il mio inconscio mi sta dando un avvertimento?
Col cazzo che prendo armi e bagagli; di armi non ne ho e i bagagli mi sa tanto di teatrino televisivo di terz'ordine su canale cinque ogni maledetto sabato sera alle venti e trenta in punto.
Anche il sabato nella storia si ripete; come il mio cazzo anch'io sono limitato.
Ma la classe non è acqua, perché a meno che non ci sia l'inesistente Gesù nei paraggi a fare il miracolo, l'acqua rimane acqua e se ho appena detto che la classe non è acqua allora mi rimangio tutto.
Dobbiamo telare da qui, - urlò il furente Maciste. Goldberg tornò coi piedi per terra dopo quella pretenziosa affermazione. Afferrò con due mani il tricipite grosso dell'amico ingombrante, lo guardò negli occhi come faceva Humprey Bogart per chiavare di più sia nel cinema che nella vita vera e gli disse: - Telare è un termine che sicuramente hai appreso dai fumetti di Pazienza. Va bene che siamo negli anni 70 e che studiamo a Bologna e ci facciamo le canne e il nostro tumore servirà a sovvertire il sistema, ma qui bello mio te ne stai passando, quanto a studentaggine spicciola.
Il grosso eroe peplum non capì un acca di quello che gli disse l'ingombrante amico. Per farla breve, non aveva capito un beneamato cazzo, troppe parole difficili, troppi concetti.
Si sa che gli eroi del peplum avevano tutti solo la quinta elementare perché una volta i figli si facevano per lavorare nelle terre (in questo caso la madre di maciste sfornava culturisti perché non aveva i soldi per comprarsi un crick per l'automobile e quando doveva accomodarla chiamava un figlio che con due dita gliela alzava e gliela poteva tenere così anche per tre ore filate).
Un ignorante. Grosso ma ignorante fiijo de Ggiùda.
Intanto Godzilla era arrivato a loro; sebbene i due eroi fossero grossi, Godzilla era ciccione sci ma ancora più grùss. Li avrebbe schiacciati tutti e due in un attimo.
Sarebbe finito tutto in merda se non fosse arrivato il danzante Biollante che con una fioritura prematura mise a tacere la bocca della critica stupida che denigrava capolavori di serie b come quelli e poi andava a dare cinque pallette sul merenghetti a film del cazzo tipo “la dolce vita.”
Non vissero tutti felici e contenti, perché ormai Djagno era morto e Goldberg non poteva fargli più le pile drive quando erano ubriachi (Maciste non se la lasciava fare, non si prestava a questi giochi).
Godlberg si sentì davvero triste una volta tornato a casa, come quella volta che aveva comprato le paste da portare ai suoi genitori per farsi perdonare l'inenarrabile e poi si era accorto che non le aveva comprati col cuore ma per senso di colpa e allora scaraventò tutto fuori dalla macchina e c'erano bambini che non sapevano neanche che esistessero le paste.
E si sentì ancorap più in colpa. Abbiamo capito che in questa storia, le fughe, la domenica, la voglia di scappare e i sensi di colpa abbondano un po' troppo.
Non avevano imparato niente nel mondo dei kaiju, se non che il mondo realte è triste e un colpo ti potrebbe tranquillamente prendere da un momento all'altro, a meno che non hai dio da una parte e le colt dall'altra.
Qual'è la differenza fondamentale che separa spaghetti western, peplum e wrestling?
Che nello spaghetti western difficilmente s'è visto un eroe grosso pagato per combattere con cazzoni coreografi e mostri meccanici..

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