lunedì 2 gennaio 2012

UNA PORZIONE DI EGO SEMI ABBANDONATA








Consapevole di ogni singolo spostamento, ne ero pienamente partecipe, al contrario di ciò che normalmente accade. Vivere oltre le barriere personali.

Estraniato eppure vigile, cosciente della dimensione percepita dagli acuiti sensi in contrapposizione a quella dove attualmente mi trovavo. Sentivo lo spazio che mi circondava, percependolo sulla pelle ai lati degli occhi, al bordo dello stomaco.

Incontrai molte persone quel giorno, prima di comparire poggiato sulla sedia dallo schienale imbottito della mia stanza. Salutarle mi pose faccia a faccia con un liquido sentore di assurdo.

Cos'è poi l'assurdo, ciò che l'etica formata/travisata dal punto di vista sociale riconosce in accadimenti “fuori dal normale”, perciò bollandola tale?

La ragazza coi capelli rossi, non vorrei sbagliarmi, lavorava in un bar d'immemore frequentazione. Bella tipa. Finta ma gradevole alla vista. Mi ha salutato come si saluterebbero amici d'infanzia ad un raduno post superiori. Recitai magistralmente la parte del sorridente, realizzato cittadino consapevole, felice nonostante il generale dramma umano in vigore, tenendo alta la reputazione dei diversi, obbligati per scelta a vivere una pseudo vita sociale. Non sono mai stato un attore professionista; recito per vivere.

Un lavoro in cui vengo pagato in contanti d'indifferenza, assegni virtuali di anonimato perpetrato, accrediti di sensi di colpa, transazioni non eseguite.

Mettere le mani avanti, celebrare impossibili accadimenti futuri.

Esteriormente rimasi a mio perfetto agio. Secondo me. Secondo lei?
Comprai mezzo Kg di pane senza sale, studiando i contorni luminosi della fornaia riflessa nello specchio della vetrina illuminata dal neon.

L'avevo vista altre volte.

Ora ricordo, ero andato a comprarci il pane almeno una trentina di volte negli ultimi, che so, dieci, venti, ventisei anni?

La rossa è uscita di scena.

Smaterializzai dalla scena anche il mio essere fisico, anzi, uscii dal fornaio (non inteso come fornaio con la pancia squarciata che da me alla luce, facendomi entrare nel palcoscenico della vita; metaforicamente mentendo). Una volta fuori (ecco, va meglio) m'accorsi che si era fermata, come se mi aspettasse. Non mi ero ancora tolto il sorriso falso incollato sopra al neutrale, anch'esso sfoggiato raramente.

Mi incamminai verso l'auto, partecipando insieme ai compagni al mio seguito, i dettagli del quadro ad acquarelli in cui esistevo in più di tre dimensioni, passandoli al setaccio come uno scanner conscio della sua natura elettronica.

Infilai un cd a caso, uscendo dal parcheggio lentamente. Una signora in bici era ferma dietro di me. Le feci il cenno di passare, universale gesto di cortesia, il genere di buona creanza che evita alle persone di discutere inutilmente col prossimo. Contraccambiò, dicendo prego con la mano rivolta verso una magia che poteva vedere solo lei. Passai, ringraziando. Aspettò che me ne andassi perché aveva paura che ingranassi la retromarcia e smettessi di far pressione sul pedale della frizione, spiaccicandola sul cancello della mega villa di fronte casa di nonna, dov'ero andato per usare il gabinetto, al seguito di una nottata a base di birra e marijuana ultra potente da quindici euro al grammo, brigante prezzo forse imposto per cause maggiori, come il rischio di portarsi appresso qualcosa come seicento euro di erba da panico con le strade piene di sbirri gasati dal manganello in dotazione.

Tutelare la legge ha i suoi vantaggi, specie quando la si tutela per professione.
Il sole stava lasciando posto a nebulose nubi acide, tanto che mi parve di vedere con la coda dell'occhio un'abnorme goccia d'acqua marrone, forse suggestionato dall'appena visto “Manhattan” di Woody Allen, in particolare la scena in cui beve un bicchiere dell'acqua del rubinetto di casa sua, lamentandosi di dover pagare settecento dollari al mese (siamo nel '75) per un appartamento nuovo con le tubature completamente arrugginite. Le strade avanzavano a rallentatore, di pari passo con la lancetta del contachilometri, segnalatore di velocità o come cazzo si chiama la vetrina a sinistra (a destra nelle automobili inglesi) del centro del cruscotto. Si formavano nella mente incidenti per mille svariate cause, tutti con me protagonista troppo imbambolatamente lento per poter comprendere ogni cosa che succedeva, dallo sbraitare della controparte alle urla sbigottite del pubblico fermatosi per godere della tragedia altrui. Tutto in testa, per questo cercai di evitare ulteriori paranoie, sintonizzando i pensieri su qualcosa che mi rendesse felice tanto da smorzare i toni della pesantezza melliflua e fluttuante del viaggio di ritorno verso casa, con la strada bagnata di grandi gocce marrone simili a tabacco masticato e sputato dai personaggi abitatori dei piano di sopra, oltre l'ozono e l'umanamente spiegabile. Convivevo in simbiosi con le molecole d'ossigeno in macchina, rimasta a bollire olio d'arachidi, chiusa per un pomeriggio e una mattinata intera, notte non esclusa. A stento contenevo l'agitazione derivante da non so che cosa facendo sforzi manifestatisi sotto forma di lacrime dalla fronte.

Eppure ero sicuro di essere calmo.

Ingannai la strizza fissando appunti per una storia.

In un modello di mondo simile al nostro (ma ancora più estraniante) la gente passa ore e ore di fronte ai computer, a lavoro, a casa. Non esistono più lavori svolgibili escludendo l'utilizzo di un hard disk, uno schermo e una tastiera. Quotidianamente, nessuno passa più di dieci minuti senza avere davanti agli occhi, grande come un campo visivo, uno scintillante schermo ammiccante.
Al servizio dei dittatori dietro le quinte rappresentate dalla giacca e cravatta dei politici pubblici, gli scienziati psichiatri psico demagogici ci osservano, studiandoci al dettaglio come difettosi pezzi di una catena di montaggio senza fine. Controllano i motori di ricerca tipo il vecchio Google e, dopo essersi appuntati i siti più visionati, creano in laboratorio quelli che saranno i nostri sogni, le nostre aspirazioni, i nostri gusti e desideri, il tutto incarnato in oggetti di plastica o altre materiali tossici derivati dal petrolio.

Per il controllo di un essere umano è di fondamentale importanza la presenza di materiali tossici negli ambienti in cui egli si trova. Abbassano le difese immunitarie, abbassando il suo personale muro di resistenza.

Docilità come arma da sfruttare. Ci studiano tramite le preferenze, i gusti. Cercano di mettere a repentaglio la pazienza per farci consumare una percentuale sempre più alta di tutto. Modificano le impostazioni di siti come il superato youtube.com, rendendo lentissimo il caricamento dei video, a cominciare dall'ombra dell'indicatore di tempo rosso.

Un tassello di grigio sullo sfondo della barra di caricamento alla volta, verso il lato destro del rettangolo al centro di cui appaiono le incarnazioni, sotto forma d'immagini. I sogni.

Il semaforo era rosso. Guardavo una signora che mi guardava tramite i miei occhi. Controllavo. Controllavo loro se mi controllassero.
Paranoie da thc.
Controllavo.

Colpevoli, i pensieri fuggivano veloci. Ero capace di afferrarne solo poche sillabe d'ognuno, cercando di decodificare, per ognuno, un'immagine comprensibile di cosa stesse accadendo nella mia testa lanciata a supersonici giri. La mancanza di decenti tempi di reazione del raggio smistatore d'idee, probabilmente era causato dallo scorrimento incessante di sostanze naturali mischiate alle artificiali, oppure traumi subiti in passato. Non sapevo se fossi riuscito a recuperare totalmente l'integrità mentale sia nella veglia che nel mondo dei sogni notturni.

Pensare appariva così arduo che la rinuncia si rivelò, come sempre, l'ultima (unica) soluzione applicabile, nascondendomi in psichici spazi bianchi, lasciando al raggio di smistamento (di cui non è dotato il settore coscienza) di fare del suo meglio. Anziché dati, idee esplosive, analizzava fiocchi di neve all'interno della scatola cranica. Imbarcato in un lavoro di registrazione visiva puramente oftalmico, affidato al solo senso della vista.

In arrivo la paura.


Parlare, stare a contatto con la gente è un orrore, ti mette sul chi va là, girando la meccanica che tira le corde dei nervi.

Parlare con mio padre, con mia madre, equivale a camminare su di una fune cosparsa di vasellina e aghi, sospesa nel vuoto ricolmo di lava scintillante.

Poche risposte esaustive, secche, incisive.

Sì.

No.

Hai ragione, è così, non ci piove sopra.

Poi guardo fuori.

Sta piovendo.

Oh, cazzo, ora mi scoprono.

Sedetti a tavola per mangiare, da buon figlio, le pennette al pomodoro panna funghi e pancetta. Periziai il piatto, scansando con la punta dei rebbi della forchetta i piccoli giuggioli di carne, per non mangiare animali morti, seppure, grazie alla panna, egualmente m'apprestavo a cibarmi del derivato liquido di uno di essi.

A Cannes Oliver Stone presentava il suo Wall Street 2. Sarebbe stato presente anche l'intramontabile Woody. Quei due giorni di stravizi, Allen fu una costante.
Occhi fissi, immagini olografiche illusoriamente in movimento, mi venne lo spunto per una storia tragicomica ispirata a fatti realmente accaduti.

Un ricco, geniale cineasta ebreo, giunto a una certa età, adotta una figlia vietnamita minorenne per finire con l'innamorarsene. La sposa, dando il ben servito alla sua compagna di molti anni, una bella donna old style il cui sole è tramontato da parecchi lustri. Il cineasta è tormentato da etici dubbi, la sua ex da antichi demoni annidati in angusti antri della sua villa in campagna.

La vicenda si conclude nel momento in cui l'attempata bellezza d'altri tempi, in preda a forti crisi depressive che la costringono a catalogare in ordine alfabetico (runico) le sue feci per genere e data, si butta giù da un ponte molto alto, ai piedi del quale il cineasta e la sua figliastra stanno facendo l'amore senza precauzioni.

Finale a tripla morte.

Gli incassi dell'ultimo film vanno alle stelle, come le tre omelette umane, cotte a dovere ai piedi del ponte storico di tutti i disperati suicidi della città.
Morale: il cineasta se l'è cercata; mai avere incestuosi rapporti pedofili in posti necrofili.


Da ragionarci su parecchio; negli anni settanta Polansky si scopò una sedicenne, nessuno seppe niente, a parte il vedovo regista e la sua micro amante. Ora, a tavola, coi miei genitori, la vicenda stava tornando a galla come la merda degli antichi guerrieri morti per attuare il volere dei sovrani.

Un guerriero che si convince che il suo personale volere e quello del re debbano sempre andare di pari passo è un guerriero...

Un guerriero, niente più.
Un idiota senza palle per affrontare la vita a parole.
La penna ferisce più della spada (in base alla parte anatomica del nemico nella quale riesci ad infilarla).

Ero un flipper, come successe anni prima dopo l'assunzione di due grammi di Purple Haze (dannato Jimi e i suoi 30 cm. di sashimi).

Un bastone di pesce crudo inturgidito penzolante dalle gambe, eccoti la storia del vecchio rock.

La pallina toccava le barriere di plastica e lo schermo segnava i punti. Ogni singola percezione era un ostacolo per la biglia d'ottone che sbatteva, riscendeva, veniva colpita dalle palette, risaliva, facendo rilucere la parte superiore della macchina in cui mi Sono trasformato, sotto i globi dell'apatia dei miei tutori legali.

Dalla finestra filtra un suono identico alla sirena udibile durante le partite a Pacman. Mi riferisco a quando la forma di tre quarti di cacio prende la stella (no, quello è Super Mario Bros. , diventato Super Mario&Basta, non più bros, in seguito al crollo mondiale delle borse; la ditta pagava troppe tasse, così il socio Luigi scappò all'estero, in medio oriente, con una prostituta minorenne di dieci anni di Bankok), cioè, il puntino che da diritto all'invincibilità permanente, facendoti lampeggiare elettrico, preda divenuta predatore degli antagonisti, a loro volta diventati stronzetti a intermittenza sì, ma blu, pronti per essere sbranati, eliminati dal gioco.

Pac Man: una forma di cacio smembrata intenta a rimangiarsi pezzi di sé ridotti a palline simili a patatine Puf, guarda caso al formaggio.

Una grande metafora della vita, ritrovare in giro i pezzi del proprio sé, fagocitandoli per assumerli, reintegrarli, renderli nuovamente parte dell'organismo, mentre le intemperie nemiche sono in agguato, producendo fastidiosi suoni degli anni '80.

Nonna litigava spesso con zia per colpa delle cause legali tenutesi nell'aula televisiva di Forum.
Non pensavo che la gente senza problemi esistenziali avesse costantemente l'esigenza di sprofondare in quotidiane anodine vicende dal sapore di telenovella retrò, dannatamente retrò. Sono rimasto toccato. Ho cancellato i dati riguardanti la causa della diatriba tra l'uomo e la donna, padre e figlia, alle prese con la spartizione dell'affidamento del figlio trentenne mentalmente instabile, però migliorato negli ultimi anni, successivamente ad una massiccia cura farmaceutica targata Bayer&Rockfeller.

I disastri più incomprensibili capitano alle persone comuni più comuni del comune. Dico incomprensibili perché se due o più persone si ritrovano in un mare di merda che non riescono a vedere sotto un'ottica pacifista e tollerante, al punto da trascinarsi in uno pseudo tribunale televisivo per contendersi un premio di centomila euro (non ricordo se fosse un risarcimento o cosa), non posso che usare il primo aggettivo a portata di mano.

Esplicativo ma non ampiamente esaustivo, anche se in ogni scritto ognuno ci vede il proprio pupazzo decorato, tentando di filtrarlo attraverso la dogana dei vecchi precetti e preconcetti appresi/maturati nel corso degli inverni, perciò, non venite a dirmi che “straordinario” è un aggettivo qualificativo positivo; “stra” è un prefisso che si usa per formare un superlativo assoluto. “Ordinario” indica qualcuno o qualcosa comune, cioè che si trova dappertutto.

Essere straordinari significa essere fottutamente banali.

Accadono cose straNonordinarie, come l'asino in basso a destra dello schermo (non sono buono a collocare in precisi contesti spaziotemporali) si è messo una benda sugli occhi.

Vorranno giustiziarlo?

Secondo quanto sostengono vecchi films, nella legione straniera, nelle pubbliche esecuzioni a fucilate, prima che avvenisse la condanna fisica vera e propria, al condannato veniva data la possibilità di bendarsi gli occhi, come se non assistere all'atto di premere il grilletto infonda alla morte un sapore più dolce.
Il buio come ultima visione non fa per me.

Si dice che l'ultima immagine catturata dalla retina di un neo morto rimanga impressa per un imprecisato periodo di tempo, un po' come il televisore appena spento. Al centro dello schermo rimane sborrato e, per qualche secondo, sullo spettro (per chi ha ancora un apparecchio televisivo a tubo catodico; coi plasma non avviene questo fenomeno d'impressione grafica reversibile che è la sborrata televisiva) sono ancora distinguibili immagini.

Con l'asino bendato, scaricare film è facile come prima, sebbene un animale con gli occhi bendati, se non indirizzato da sapienti mani, inizia a camminare nell'ignoto creandosi, con l'istinto, una personalissima, improvvisata cartina geografica dell'ambiente, del contesto solido.

Vivo di fronte a un palazzo di infelici.

Piangono i bambini, litigano i genitori (infanti mentali; litigare senza motivo è come... litigare senza motivazioni) non risolvendo alcuna questione, visto che non ve ne erano neanche di preesistenti. Il disperato gioco della vita secondo le persone che mi vivono di fronte, disadattati disabilitati a un'esistenza pacifica, serena, sul terzo pianeta per distanza dal sole. Su Nettuno litigheranno per altri cazzi.

Le loro bestemmie non superano le imposte distanze intergalattiche. È come se le sentissimo. Sono gli schiamazzi intergalattici, a renderci così irritabili.
Un flash del cofanetto di Star Wars.

Strepitoso successo per la prima vera grande saga del cinema moderno. Storie come Star Wars possono sembrare sia favole inscenate per spingere gli spettatori a confrontarsi col proprio inconscio in maniera più o meno diretta ed elementare, che decimali affioramenti dalle zone ancestrali della mente.

Collegamenti, affioramenti. Il programma di Raz Degan sul piercing estremo deve avermi fatto male. Una bomba a orologeria innescata alle mie spalle. L'ultima frase prima della fine della blanda inchiesta sociale sul gruppo di persone depilate pronte a forarsi, se non amputarsi, ogni arto del corpo, chiamati piercers, è stata: “E' affascinante, pensare che siamo tutti collegati da una unica coscienza collettiva, perciò dobbiamo prenderci le nostre responsabilità”.

Concordo sulla coscienza collettiva, inchinandomi di fronte a chiunque si guarda allo specchio e, dopo aver preso atto di ciò, raccoglie dall'amaro piatto la sua fetta di responsabilità, pagando per sé e il prossimo (siamo tutti sulla stessa arca interdimensionale).

Non posso digerire che uno stronzo come Raz Degan, incapace di parlare la sua lingua, figurarsi la nostra, lanci un messaggio del genere non provando almeno una punta di orrore per sé, di sé, dopo aver appena intimato la popolazione mondiale a prendersi responsabilità quand'egli stesso è il primo a non farlo, anzi, a remare contro la nostra cazzo di arca, gettandoci in uno di quelli che la scienza moderna definisce “buco nero”.

Raz Degan, 'fanculo tu e il tuo stipendio che ti da il lusso di non dover lavorare in fabbrica otto ore al giorno per cinque giorni la settimana, a discapito di gente come me che sta facendo i conti con sé stesso, munito di calcolatrice scientifica e tavola periodica pronta da consultare all'occorrenza, così da poter scontare uno ad uno ogni singolo peccato.

Se l'idea l'ho involontariamente rubata a Dick: la prego, mi perdoni.
Mi sembra una punizione giusta.
Equa.
Più equa della finta giustizia distribuita nei tribunali sociali.

Un forte odore di dopobarba cucito al confine tra la fine delle narici e l'inizio dell'interno della fronte, fin' vicino al terz'occhio (ghiandola pineale, per i profani), il nemico numero due sta uscendo di casa per vivere la sua porzione di vita lontana dal quartiere generale da 400€ al mese. Negli anni settanta quattrocentomila lire erano una gran somma.

Con l'aumento del debito pubblico ci troviamo a dar significato alle pareti vuote del salvadanaio collettivo.
Raz parlava di salvadanaio della coscienza collettiva, quello da cui percepisce lo stipendio.

Sì, siamo collegati anche da questo però IO non posso permettermi l'interno coscia di Paola Barale per un quarto di secondo a un centinaio di metri, separati da una rete elettrificata sorvegliata da turchi tiratori scelti dotati di M-16 con mirino di precisione caricati con colpi esplosivi avvelenati da acido indissolubile.

Brutta storia.

Tutto questo perché volevo una cazzo di birra all'una e mezza di notte senza sorbirmi il casino dei pub di sedicesimo ordine.

Ci siamo fermati al paninaro mobile stazionatosi all'angolo prima dell'imboccatura sfociante nella super strada più frequentata dalle mie parti.
“Che birre avete?”.

Il tizio con il naso aquilino e le fattezze di Arnold di Happy days ci ha guardato come se gli avessimo chiesto che differenza c'è tra un numero primo e la spirale aurea di Pitagora. La moglie non era da meno, paletta bucherellata per salvare le patatine dall'olio bollente sul fondo della friggitrice ben saldata alla mano, rivolta verso tre stronzi (due stronzi e una stronza, per essere accademicamente corretti), sbalorditi della nostra peresenza.

“Beck's”.

Cinque lettere più un apostrofo.
Quattro consonanti, una vocale posta a tre postazioni prima dell'apostrofo, come risposta. “Va bene”, informo il bottegaio mobile col cappellino bianco cadavere in testa.

Si china, pesca dal frigorifero una Leffe rossa, porgendola alla stronza bionda seduta tra i due stronzi etnicamente agli antipodi, ancora ancorata alla panca d'ecclesiastica memoria. Una panchina da chiesa, invece di una comune panchina di plastica normale. Faccio: “Ah, allora no, no, due Leffe rosse”. Il bifolco d'origine ignota (tale tipologia di soggetto non si trova solo nel sud degli Stati uniti) sorride srotolando gli ultimi 2mm di labbra rosse per una bocca da culo, serrata dall'ira scaturita dall'elevata esigenza dei clienti maleducati, posando la Leffe rossa, destinata alla stronza bionda, sul bancone accanto alla Becks, magicamente comparsa nell'obbiettivo senza che nessuno se ne accorgesse. Si china, posa sul bancone anche due Leffe bionde.

Siamo a una Leffe rossa, due Leffe bionde e una Beck's.

“Tredici euro”, tirando su col naso un fiotto di catarro simile a un ectoplasma al sapore di carcinoma. Pago, faccio fagotto della spesa, tenuta in mano dal porchettaio in incognito.

Non mollava la presa, non voleva darmi le birre.

Sorrideva, mostrando ora 9mm di mezza luna sipario dei denti. Alla fine desiste, molla la presa, abilitandomi a tornare in macchina, fuggire lontano dal posto più strano e triste della giornata.

Stanotte ho risognato la scena.

Erano cinque alieni, nascosti in tute genetiche dalle fattezze umane per rifocillarsi dalla fatica di un lungo viaggio. Il paninaro, forse loro leader, doveva aver azionato il “raggio proteggi attenzione umana”, impedendo a noi terrestri d'avvicinarci alla zona.
Il raggio faceva effetto su di me o sul mio amico.

Ecco l'origine del comportamento anomalo.

Be', se sul loro pianeta si comportano in quel modo deve essere una galassia di teste di cazzo maleducate.

... l'ho scritto tre anni fa; cazzo, come stavo conciato bene

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