lunedì 5 marzo 2012

REMEMBERING&DISCOVERING


BETTER THAN DRUGS. TRY IT, IF YOU DARE!!!





http://www.youtube.com/watch?v=SWtxxZx0C5s


Stai per impazzire, è arrivato il momento, hai tutto il necessario, te ne vai, lasci tutto alle spalle.
Sei pronto per una nuova vita, hai tutto il mondo da scoprire. Girata la pagina con scritto “fine prima parte” hai altri centinaia di fogli bianchi.

Cazzate.

Lasci dietro solo il piano della materia. Dentro porterai sempre posti, suoni, colori, gesti, facce, personaggi dell’Atto I°.

E lu vìno.

Cazzo, quanto vino, abbiamo battuto alla stragrande i record epatici di tutti vacanzieri tedeschi sbarcati in Italy con le valigie piene di birra, cappellino idiota da idioti, sandali a dicembre, calzini ad agosto.

Pelosi, col pancione, si trascorrono addosso la giornata, immersi come strofinacci sudici in piscina, quando a tre passi dall’ingresso del villaggio turistico vasto e sconfinato s’agita il mare estivo.

Mi sono sentito/mi sento un po’ di merda ripensando a un mio Amico vero, al bello che è stato crescerci insieme tra gioie, sbornie, cose a tre – mai terminate - , pianti, dolori finiti persino in tribunale, noi due contro un pugno di teste di cazzo sbarcate da un'altra galassia (pietosa), in combutta con avvocati rettiliani semina parcelle nibiriane.

L’ultima visita nella mia terra d’origine, ove regnano bifolchi che, come avrebbe detto Bill Hicks, fosse ancora fisicamente tra noi, “non hanno ancora i pollici, s’accoppiano tra loro, ti presentano sorella, moglie, e davanti hai una sola donna, sono pochino indietro nella scala evolutiva”, non sono andato a trovare questo fratello perduto.

Non me la sentivo.
Si chiama Paura.
Il finto, errato motore del nostro mondo.

Probabilmente si è offeso, ha tutti i buoni motivi, mi sono comportato da stronzo egoista.
Non sto qui a giustificarmi; almeno una volta tutti avete avuto paura, sapete come funziona quando hai la tremarella, cento discordanti canzoni tutte insieme nella testa, culo stretto, cuore appoggiato alla gola.

Se non altro, il cuore non può uscirti dal buco del culo.
Certe atrocità avvengono solo nei romanzi di Palahniuk.

Chissà se alla fine Nantalia l’ha letto “Haunted” …

Chissà come te la passi, se te la spassi.

Dalle casse “best friend” di Ewan Dobson, manco a farlo apposta.
Come ieri dopo pranzo, un paio di lacrimucce.
Un altro paio.
Altre cinque, sei.
2+2+5+6 lacrimucce fanno un pianto, no?

Ne sono ancora in grado, significa che sono umano.
Umano e vivo.

Così ti saluto, vejo.
Tinto, tinto, chinga tu madre, boracho.

Ho passato sabato sera guardando “La musica nel cuore”.
L’avevo visto tempo fa, in condizioni spartane. Sentivo di doverlo rivedere.
In biblioteca hanno pochi film; coincidono con tutti quelli che mi interessano.

Davè davero, pazzesco.

D'altronde siamo noi a creare la nostra realtà.

Finito il filmone sono andato a dormire.

Sono uscito dal corpo.

Ero sobrio.
2 birre a cena non fanno testo, più che altro alimentano cirrosi.

La prima fase dei sonni intrapresi a stomaco strapieno – durante le proiezioni ho mangiato 1 pizza con melanzane e radicchio, ½ kg di insalata mista, 3 cetrioli - e lo ribadisco, sono ottimi anche da mangiare, fidatevi; per una volta provate a introdurli dalla bocca, non esistono solo per fungere da sostituti del datore di lavoro, dell’amante o dei genitori.

Hanno vietato l’erba.
Mica tutta.

Ieri sera ho fatto una grande scoperta, esiste altra erba allucinogena oltre la Marijuana, magari in questo momento ne avete il frigo pieno però la usate a piccole dosi solo per accompagnarci bistecche e cazzi vari.

Quando ero sul punto di entrare in fase REM Michael Stipe si sentì geloso dei cetrioli, disse che aveva perso la sua religione, che ero una persona automatica, fuori dal tempo, e col cazzo che standomi dietro m’avrebbe più concesso una nuove avventure in HI-FI.

Oltre il piccolo gioco semantico, torno sul letto, coperte intrise di sudore, brividi elettrostatici invadevano i tessuti di cui sono ricoperto, impregnando le coperte di incomprensibile liquida follia da sogno nel sogno, nel sogno.

Sono a casa di un amica; nella sceneggiatura del sogno vivevo lì.

Sento vociare, proviene da sotto casa. M’affaccio, un gruppo di ragazzi messi in cerchio sta suonando. Chitarre, bassi, amplificatori, una batteria in mezzo di strada.
Dal palazzo di fronte correndo esce un ragazzo incazzato, si fionda sulla band strillando. Come una morsa umana, il gruppo gli si stringe attorno , spintonandolo, dandogli pugni, calci rotanti stile van Damme in “Senza esclusione di colpi”.

Uno di loro diventa alto due metri, assesta un calcio volante alla mandibola del nemico, il poveraccio fa un volo cartoonesco a velocità accelerata, esegue una piroetta stile “Scott Pilgrim vs. the World” contorcendosi su sé stesso, si schianta contro il muro, scivola giù a rallentatore come la brioche che un compagno delle elementari – oggi vive in manicomio – schizzò sul muro dell’atrio mentre stava subendo una mossa di wrestling.

Mi percepisco nel letto.
Occhi serrati, vorrei aprirli, impossibile, pesano come la colpa dei genitori di Charles Manson.
Una pernacchia gracchiante.
Forte, assordante.
A sinistra.

Da uno spiraglio delle palpebre percepisco i contorni di un entità, sta fissandomi dallo spiraglio dell’armadio. Ruota, pernacchie assordanti s’abbassano di tonalità divenendo baritonali.

Una parte di me è in pericolo, dovrei avere paura. Sono solo inquieto.

L’armadio si apre.
Dentro ci sono io, mi sto guardando mentre dormo.
Ho il braccio teso, sotto le coperte, le sento appiccicate sulle nocche della destra, tesa come se stessi dando un pugno. Il cuore danza appesantito, quasi duole. Petto in fiamme, incapace di girarmi, paralizzato dalla testa ai piedi. Gli occhi focalizzano un amalgama di fuochi spumeggianti, vulcanici, colori simili allo shuffle random di media player (in modalità “lettore musicale”).

Il battito segue il ritmo della danza, colori, rette, sinusoidi all’interno dello schermo creano un enorme posto di blocco psicofisico emozionale.

Sono nel letto, nell’armadio e in piedi, a occhi chiusi.
Registro il mondo da sei occhi, percependomi ovunque. Sto andando di là, ho dimenticato di chiudere la porta d’ingresso.
Non lo faccio mai.
Ora mi sento in pericolo.

Apro guardandomi il braccio con un occhio solo, l’altro è sbarrato. Intorpidito, barcollo.

Sono a casa mia.
La porta d’ingresso è aperta.
Per le scale è buio.
Sono calmo.

C’è una presenza in sala.
Sono entrati.

Avanzo a passetti, controllare se ci sia qualcuno, se hanno rubato qualcosa - a parte computer e chitarre non c’è niente di valore.

Apro l’armadio, vado alla finestra, i musicisti sono scomparsi.
Luci di lampioni notturni illuminano la strada deserta.
Il cielo è spento.

Sotto le lenzuola ho freddo, sono agitato, sto parlando a distanza con la mia compagna, è al centro dell’enorme sala della casa di Tania. Discutiamo riguardo un diverbio avvenuto ore prima. L’io alla finestra sta soffrendo, vivendo come fossero sue le sensazioni provate da Elena, le quali si materializzano al centro della camera da letto sottoforma di astratta eppur geometrica porzione di spazio semi mobile circoscritta da contorni vaporosi neri, contemporaneamente dietro la testa di me affacciato alla finestra della sala, dopo aver chiuso la soglia d’ingresso, mi giro di scatto, altre pernacchie in camera, dove sono nel letto, solo, paralizzato, spaventato, smarrito.
Ubiquo.

Le pernacchie cedono il posto a una risata angosciante dietro il lato sinistro di Me nel letto, i brividi di terrore riescono farmi aprire gli occhi appena appena da scorgere i primi bagliori del nuovo giorno entrare a sprazzi dalle finestre.

I tre io si connettono telepaticamente, poi fisicamente, sentono un fuoco nel petto, la certezza di aver capito qualcosa di importante.

L’Uno, il Tutto, la comunione tra Me e i Me passati.

Si può aver paura di ciò che si è stati, talvolta ci si mette in condizioni di rincontrarsi per confrontarsi.

Situazioni di pericolo tendono a far riunire le masse, facendole sentire parte di un unico grande organismo coalizzato contro il nemico comune.

Solo ora, ricordo che fuori dalle scale… c’ero ancora io.

Non so quale io, non so spiegarmi perché anche quell’Andrea si fosse recato alla rimpatriata di maschere passate, anche perché non l’ho visto, l’ho dedotto successivamente.

La morale di questa storia sono due: molti di noi passano una vita senza neanche avere un vero amico (un abissale abisso separa i “conoscenti” dagli “amici).
Io ne ho avuti almeno 5, posso di essere più fortunato della fortuna.

E quando avete paura, o siete troppo in paranoia per contattare il vostro spacciatore, fatevi un giro al mercato ortofrutticolo, comprate un paio di chili di insalata.

Ne sono più che ben forniti.

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