lunedì 11 giugno 2012

ERRATA COCCIGE



QUANTO MI MANCHI




Giorno di luna, 11/06/12.
6 mesi, 12 giorni alla fine del mondo.

L’ho scritta perché volevo fare il fico tipo Palahniuk aprendo le danze con un intro pseudo apocalittica ma, dopo aver fatto il conto di quanti giorni mancano alla presunta fine del mondo (o quel che sia) ci sono rimasto.

Piccole analogie numeriche da cospirazionisti del sabato sera.

Riguardo complotti, cospirazioni, insabbiamento di fatti accaduti, distorsione degli avvenimenti e stampa fuorviante manipola opinione pubblica ho scritto parecchio.

Stavolta mi sono trovato in mezzo a una cosa simile in prima persona.
Dico “simile” perché non è proprio una cospirazione, bensì un caso di stampa manipola opinione pubblica.

Venerdì sera sono andato a una serata per single con l’intenzione di scrivere un reportage (mi è sembrata un ottima idea, di fatto lo è stata; il saggio sta venendo clamoroso).

Presenti all’evento presso Villa Bevilacqua una fotografa e un giornalista del noto quotidiano “L’Arena”. Lei era molto carina, una ragazza stile Amelìe (però sessuata), il reporter era un panciuto Peter Griffin giovane all’anagrafe vecchio nella morfologia (potrei parlare di “agglomerato pluricellulare batraciforme”.

Dato che ha intervistato i single, ci ho fatto quattro chiacchiere, scoprendo – due giorni dopo, leggendo il suo articolo - che il fumo emanato dal suo personale livello di professionalità ostentata era emanato solo illusoriamente, in quanto non esisteva nessuno arrosto - casomai una brodaglia lessicale.

Di per sé l’articolo è grammaticalmente corretto, nulla da ridire.

Il punto è un altro.

Come si fa ad essere così passivamente populisti - per non dire leccaculo - riducendo tutto l’accaduto, pregno di vari significati socio-antropologico-culturali a poche righe di faziosi convenevoli che - detta senza troppi arzigogoli - tradotti nel linguaggio preconfezionato di frasi fatte/frasi di circostanza che subiamo più o meno tutti i giorni a lavoro, in ascensore, in mensa (dove cazzo vi pare) sarebbe l’equivalente di: “Eh, sì, sto bene, va tutto bene. Visto che tempaccio? Eh, lo so, sì, dobbiamo tenere duro, che ci vuoi fare?Vediamo cosa faranno i politici, tanto e così e bla bla blaporcoddddd… ecc. ecc. ecc. ecc.


Sara, nota ex giornalista, nonché mia amatissima, fedele ex compagna e complice durante pienissimi anni passati a sollazzarci in amorevoli bagordi, mi fece notare che per fare i giornalisti bastano i seguenti requisiti:

1) Conoscere l’alfabeto (almeno fino a metà)

2) Essere disposti a rimetterci un sacco di soldi di tasca propria (per trasferte e aperitivi da offrire agli intervistati importanti)

3) Essere infatuati di suddetta professione nutrendo un incondizionato amore puro e malsano, diverso da quello che potrebbe scaturire dall’ispirazione nata dopo la visione di pellicole come “Tutti gli uomini del presidente” - film che, tra l’altro, ha vinto 4 oscar in quanto prodotto dalle stesse menti che hanno “messo in piedi” il caso Watergate vero e proprio; in sé la pellicola è una bella rottura di palle, nonostante Redford faccia il fico inarrivabile e Hoffman presenzi a sprazzi solo per fungere da termine di paragone minore facendo apparire Redford ancora più fico e inarrivabile [se davvero volete intraprendere la carriera giornalistica e necessitate di un film-molla-spinta che vi ispiri ulteriormente, contemporaneamente mostrandovi a livello fisico ed emotivo cos’è realmente il giornalismo sul campo di battaglia consiglio il film “Tesis”di Alejandro Amenabar].

4) Possedere l’innato talento per sorridere, soprattutto nei momenti in cui nella vostra mente riuscite a visualizzare solo: a) un tubo del gas ben definito, delineato quanto a bordi, contorni, lucentezza; b) le vostre labbra chiuse a morsa intorno ad esso, ed avere quel pizzico di energia in più che vi permetta di c) fare il macabro collegamento tra i due elementi strettamente collegati.

5) Essere ideologicamente conformi all’orientamento politico del giornale in cui lavorate - anche se alla fine, indipendentemente dalle vostre vedute vi faranno tesserare al partito che la redazione serve (lecca).

6) Provare brividi elettrici partenti dalla kundalini che risalgono la colonna vertebrale, arrivando sino alla ghiandola pineale per poi deflagrare in autentici olocausti di energia vitale ogniqualvolta venite calpestati, trattati servilmente, proprio come amano subire gli “slave” in presenza del “master” o “femdom” che sia (qui il vostro orientamento è irrilevante, anzi, la bisessualità viene premiata).

Ancora quel dannato numero, 6.
Nella Cabala il “6” è molto rilevante, sta a rappresentare ciò che per gli ebrei era l’antico rapporto tra il principio vitale…

… uno stracazzo di niente.

Peccato che l’articolo scritto da Peter Griffin non sia disponibile sul sito ufficiale de “L’Arena”.
Per leggere il giornale on line completo tocca abbonarsi.

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA.

Prima della “Mini guida in 6 punti per diventare giornalisti” (vedi sopra), mi ero posto una domanda.

Se vi pesa il deretano tanto da impossibilitarvi ad azionare i tendini preposti a far muovere verso il basso la prima falange del dito indice attaccato alla manina che armeggia col mouse per premere il tasto sinistro - o per girare la sfera di plastica posta sul bordo superiore dello stesso topo - , tornare sopra, rileggere, perché tutto il confort a cui vi anno abituato le multinazionali con le loro seducenti “tecnologie pratiche annichilisci coscienza” e “cibo monnezza smagnetizzante”, favorisco la vostra condizione di perenne non-sforzo con un copia-incolla strategico.

Cit. : Come si fa ad essere così passivamente populisti - per non dire leccaculo - riducendo tutto l’accaduto, pregno di vari significati socio-antropologico-culturali a poche righe di faziosi convenevoli che - detta senza troppi arzigogoli - tradotti nel linguaggio preconfezionato di frasi fatte/frasi di circostanza che subiamo più o meno tutti i giorni a lavoro, in ascensore, in mensa (dove cazzo vi pare) sarebbe l’equivalente di: “Eh, sì, sto bene, va tutto bene. Visto che tempaccio? Eh, lo so, sì, dobbiamo tenere duro, che ci vuoi fare?Vediamo cosa faranno i politici, tanto e così e bla bla blaporcoddddd… ecc. ecc. ecc. ecc.


La risposta è: il proprietario del locale – una “villa di nobili feudatari” [citando la didascalia del regale disegno che ho vinto classificandomi al secondo posto del concorso indetto dall’animatore della serata, per aver scritto la seconda miglior poesia sulla serata] – ha egli stesso contattato la redazione de L’Arena per fasi pubblicità, ovviamente sborsando soldi.

Il giornalista, più che stronzo leccaculo, ha agito da mercenario.

Un mercenario fa ciò per cui viene pagato.
È un po’ come Lee Van Cleef ne “Il buono e il brutto dall’alito cattivo” (regia di Sergio Metadone).

Ricordate?

Con la differenza che “il cattivo” andava ad svolgere il lavoro, eseguiva, poi tornava dal mittente, gli faceva il culo e intascava tutto.

Penso che il culo di Peter Griffin frema e vibri (dalla kundalini alla pineale) solo nel ruolo di slave.

Non fraintendetemi, non era tanto antipatico; le persone che se la tirano ci stanno sul cazzo…

… perché sono il nostro specchio. Ammettere a noi stessi che ce la stiamo tirando troppo ci fa rodere il culo tanto da proiettare (all’esterno) un immaginario nemico sul quale plasmare le nostre colpe, paure, ed attaccarlo come sto facendo adesso.

Scusami Peter.
Non è che potresti darmi il numero di Amelie?
Le devo fare una proposta.
Riguarda un certo film che si girerà a casa mia.
La sceneggiatura è segreta.
Posso solo dirti che sul set saranno presenti attrezzi come lacci, legacci, borchie, fruste e dilatatori anali.

Ovviamente sei invitato anche tu; non penso che rifiuterai una femdom come Amelie.

Alla faccia del fantastico mondo suo.






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