lunedì 13 maggio 2013

TENNIS E TEDESCHI MOLESTI

C'è il sole, così decido di andare a scrivere al bar.

Ieri è stato un bordello (di gente e personaggi).

“Valeggio veste il Vintage”.

Ho presenziato per un periodo non superiore a 2h, molto di più rispetto all'anno scorso, quando partecipai per la prima volta a questo magnifico evento.

Se non sbaglio, mi lamentavo di come le persone costringessero cagnolini ad addentrarsi in quel puttanaio, terrorizzati, con la coda tra le gambe [i cani, non i vintèig])
Ma mi soffermerei sul tennis.

Grazie a D.F.W. - che, se non s'è capito, amo alla follia, come un fratello - ho avuto modo di leggere parecchio riguardo questo sport.

Poi ho letto la biografia di Agassi.

La mia compagna ha da poco ripreso a giocarci, e mi ha proposto di prendere qualche lezione, così un giorno – forse – potremo giocare insieme.

Non so neanche tenere la racchetta in mano [a lezione l'ho chiamata “chitarra”, mentre stavo spiegando al maestro che non ne so niente di niente.])

Sabato alle 9, ancora rincoglionito dalla bisboccia della sera prima, con in dosso un paio di pantaloncini prestatimi dal barista di fiducia, maglietta grigio topo e Reebok bucate in punta (le usavo per andare a fare volantinaggio due anni fa) mi presento al circolo tennis con la mia bella racchettina (anch'essa in prestito).

È ancora presto. Ci sono un calabrese (Federico - si occupa della manutenzione - sta raschiando la terra) e il suo cane Jack, col quale lego subito. Mentre lo coccolo i suoi languidi occhi marroni stanno dicendo “Proprio sicuro di voler cominciare un'avventura che - proprio proprio doveva esse' - dovevi intraprendere minimo vent'anni fa?!).


Fanculo, cane.


Ho preso la saggia decisione di andarci in macchina, nonostante il tragitto casa-circolo ci sono 10 minuti di cammino che avrei potuto impiegare per fare un po' riscaldamento, visto che è un anno che l'unica attività fisica che mi sono concesso è quella famosa, anaerobica, statica e talvolta bagnata)


Ed è giudizio universale; una valanga biblica di pioggia spessa si abbatte sulla tettoia sotto la quale sto leggendo l'Arena, apprendendo un latro losco teatrino messo su dai nostri amati dirigenti in giacca e cravatta, mentre Federico bestemmia dicendo che gli juventini sono una massa di ladri, che andassero a fare in culo con tutta Torino.

Jack è inquieto.

Federico dice che i tuoni terrorizzano il suo cane.

Mi viene in mente il mio cagnolino alle prese coi botti di capodanno.

Poveri, poveri loro.



Sono tranquillo, il che – a pensarci oggi – è strano. Per uno come me qualsiasi novità è fonte di sgomento e ansia killer.

Eppure la respirazione era regolare e la prova mani ok.

N.B. : la prova mani è un auto test che faccio ogni tanto per vedere come mi sento: apro una mano, di solito la destra, la distendo e vedo quanto riesco a tenerla ferma.


Sono in anticipo, in più so che il maestro non è una persona proprio puntuale, così attacco bottone con Federico e mi faccio raccontare un po' della sua biografia.


È venuto qui al nooord venticinque anni fa. Era un tecnico dell'aeronautica, si occupava di motori. degli aerei, così lo hanno spedito a Villafranca, dove vive da allora.
Si porta attaccata al cuore come un francobollo la passione per il tennis, appena può gioca, anche se non ha mai pensato di fare carriera (non si sa per ché; ciò risulta doloroso, da come dice).

Forse è il tipo “i sogni sono solo sogni; bisogna lavorare per vivere”.


È un discreto tennista.

Dice che per andare avanti in questo sport ci vuole tanta, tanta passione. Come in tutte le cose penso mentre godo del suo accento.

È sempre un piacere sentire altri terroni in mezzo ai polentoni.


Le mitragliate piovane si attenuano.
Ora è più facile capire il che dìse el butèi.


Nel frattempo Jack guarda verso il cancello, come stesse aspettando il maestro anche lui.
E arriva.


Il soggetto è un vero soggetto; la prima cosa che gli sento dire è: - Che tèmpo di mèèèrda. - È robusto, sembra più un buttafuori che un tennista. Da quel che ha detto Federico è un ottimo insegnante solo che è un tipo un po' così, ma che ci vuoi fare, dobbiamo tenercelo com'è.

Ho una vaga idea “cosa” sia il motore di questa affermazione.

Ne avrò conferma a fine lezione.


Alla nostra sinistra ci sono due campi; - Andiamo di là, così non ci scassano le bàle - . Il maestro va in uno stanzino, prende due racchette e un porta palle a rete metallica che ne contiene un centinaio (circa). Va allo sportello elettronico, timbra il suo cartellino, poi Federico, con un ombrello formato spiaggia, ci scorta dalla parte opposta, dove ci sono altri campi.


La sensazione di avere quella terra sotto le scarpe da pace, come fosse sabbia magica, tanto che mi dispiace insudiciarla con le putrescenti suole bagnate, sporche di terra calpestata nel tragitto.


-Hai mai giocato a tennis?
-Non so neanche come si tiene in mano la chitarra; visto? Non so manco come si chiama sta cosa qua.
-Perfetto.
-Sarò creta nelle tue mani; puoi fare di me il cazzo che vuoi.

Ho utilizzato un linguaggio “rozzo” perché ho inquadrato il tipo e posso più che permettermelo. - E poi ho ancora i postumi di ieri sera, ho fatto bisboccia - . Mi guarda: - Ieri sera eravamo in cinque, tutti ubriachi persi. C'era anche la (“nome di ragazza”; non so chi sia) che era marcia persa. Stasera andiamo a un concerto, partiamo col pullman e già lì ci diamo sotto, figurati quando arriviamo.


E qui ho avuto metà spiegazione di cosa intendesse Federico con “è un tipo un po' così”.

Prima occorre aprire una parentesi dislocata perché (come ho detto, mi trovo al bar) ho assistito a una scena a metà (auto)strada tra Lynch e King (Stephen, of course).


Arrivano 5 ciclisti tedeschi (sembra l'inizio di una barzelletta) d'età compresa tra i quaranta e i cinquanta, portati male, come solo questo nazi popolo di Gunther und Volker mit Gisela possono fare. Pancione e pelli cascanti sono frutto di preoccupazioni sommate ad alimentazione abominevole.


Ordinano 5 cappuccini, 5 espressi... e 5 birre,
Come direbbero qui: VACCA DI'!!!


Non posso fare a meno di sbirciare. È una pantomima o davvero hanno il coraggio di mischiare tre liquidi così diversi e spararseli nel gargarozzo?

Secondo me se chiedessimo a un chimico esperto, ci direbbe che mischiando caffè, latte e birra in specifici quantitativi otterremo esplosivo al plastico.

E li bevono, seguendo un rituale ben preciso; sanno quel che fanno.
Sorso di caffè, mezza tazzina di latte, e UNA CAZZO DI BOTTIGLIA DI BIRRA TUTTA D'UN SORSO.

Poi vuotano la tazzina del caffè nel cappuccino e ingollano tutto.

Torno dentro per farmi fare un'altra acqua e limone.

Vedo arrivare una pancia, seguita dalla protesi umana contro la quale è istallata.

Varcando la soglia, l'affaticato Helmut von Hashahasselshmarcktz espira come stesse facendo un test polmonare. Mi trovo a circa tre metri e mezzo dal suo lancia fiamme e... m'arriva una zaffata letale. Un misto tra il caratteristico odore delle solfatare e la diarrea uscita dal culo della carcassa di uno gnu (divorato dai batteri necrotici) lasciato sotto il sole dell'equatore.

Io sono un discreto, moderato bevitore di alcolici; talmente moderato che il CERN di Ginevra mi ha fatto firmare un contratto – hanno già versato sul mio bancoposta 20.000.000€ - in cui mi sono impegnato a donare il mio corpo all'istituto.
Dicono che vogliono studiarlo per capire come si faccia a rimanere vivi, oltretutto in perfetta forma, con quello che mi sono bevuto (e bevo).


Sono cresciuto tra tossici e alcolizzati docg di tutti i generi.
Conosco 237 tipi diversi di “fiatella interessante”, comprese le varianti alla frutta che solo un abile ed esperto naso può cogliere.

Oggi, Lunedì 13/05/13, dopo anni di cessata attività – pensavo che le mie ricerche fossero volte al termine – debbo necessariamente riprendere il mio vecchio diario di studi e aggiornare la lista: esiste anche una 238a fiatella.


Dovevo aspettarmelo; se quello della profezia di Celestino dice che esiste anche la dodicesima illuminazione, perché non può esistere anche la duecentotrentottesima fiatella?!


Mentre sono poggiato al bancone fingendo di non lottare per tenere le viscere (che stanno smaniando per uscirmi dalla bocca) buone buone, lì dove sono sempre state, entra un uomo con un sorriso luciferino.

Sulla settantina, le mani piene zeppe di tatuaggi. Non ha un millimetro che non sia tatuato.
Guarda i miei tatuaggi.
Io faccio finta di niente.
Poi mi giro.
Non sono tatuaggi.

Immaginate centinaia di solchi neri, geometricamente disposti come fantasie artistiche, di cicatrici e tumefazioni da lebbra.


Guarda la mia camicia hawaiana. - Ti piace il giardinaggio?
Cazzo gli rispondi a uno così. - Tu hai perso i capelli per altri motivi . -

Si gira e se ne va.

E io rimango lì come uno stronzo.

Non come sul campo di tennis.


- Adesso ti lancio un po' di palline. Colpiscile.

Mi muovo come Dumbo sbronzo. Con le gambe compio rotazioni degne di Aldo Giovanni e Giacomo quando facevano “I Bulgari”. Impressionante.


Sono mancino; le palle che mi arrivavano a sinistra, in un modo o nell'altro, le rimando tutte di là dalla rete.

Quelle a destra niente.

Il maestro viene da me, spiega com'è il movimento giusto per ricevere con la sinistra. In men che non si dica ci riesco. L'unica cosa su cui devo lavorare è la corsettina spastica che ancora mi impedisce di essere fluido e risparmiare energie preziose.


Mi spiega il rovescio a due mani.

Wow: riporta. Connetto. Mi riesce subito.

Sono rimasto sorpreso.

Mi tempesta di palline a destra, sinistra, e gliele rimando tutte come vuole lui (“Colpisci me, mandamele addosso”).


Ci si potrebbe scrivere un saggio sulle cose che sono successe sabato mattina, dalle 9 alle dieci.

Ma voglio mangiare la pappa.


Ieri avevo un pochino di acido lattico, sentivo le gambe come elastici sfibrati da lanciafiamme.
Oggi sembro un semi paralitico pentito.
E non vedo l'ora che arrivi sabato.













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