lunedì 24 giugno 2013

E CHE TITOLO POSSO METTERCI?!



… nel frattempo è successo un mare di cose.
Mi sento ancora scosso come le onde dell'ocean... dell'acquario.
Perché essere epici?
“COME LE ONDE DELL'OCEANO!!!!”.

Ma vaffanculo la grandezza.
Uno degli errori che faccio continuamente – quando scrivo – è enfatizzare al 100% tutte le cose che dico. Uso una marea (scusate il giochetto acquaceo) di aggettivi per descrivere questo e quell'altro. Ma perché?
PPPPeeerrché?

Eppure, di cose ne sono successe.
Probabilmente la mia aspettativa è sempre grande, allora enfatizzo, amplifico, ingigantizzo, elevo alla nona - forse per compensare il fatto che a conti fatti mi sento sempre quello di prima, quando invece dovrei sentirmi “cambiato”.
Le percezioni umane sono quanto di più ingannabile esista, e io lo sto provando in prima persona. Potete farlo anche voi: vi basta osservare le vostre dinamiche mentali senza prendervi parte (cioè senza pronosticare, giudicare, ipotizzare, supporre ecc.).

La settimana scorsa ho vissuto 2 giorni intensi.

Venerdì ho preso il mio bel trolley con dentro una coperta (?), una ciotola per l'insalata (…?) uno sgabello (… sei andato a farti le seghe in montagna?) e un amplificatorino Roland a pile (te la fai anche con gli strumenti musicali?) e son salito sul treno per Milano.

M'ero portato l'ultimo romanzo di Stephen King (“Joyland”; consigliato) anche se sapevo che non lo avrei letto, perché quando vado in treno riesco a concentrarmi meno che mai. E poi in quella specifica occasione il tiro era molto alto.

All'inizio nello scompartimento c'eravamo io e una ragazza che stava leggendo “Vanity Fair”. Dallo sguardo calmo, posato, intelligente, ho capito che a) non dovevo giudicarla dalle sue letture b) era solo un caso che avesse in mano un giornale così, perché c) due occhi così anche in giornaletto idiota del genere (“La fiera delle vanità”... cristo...) riusciranno a trovare qualcosa che i lettori abituali non colgono. È un abilità che ho anch'io, trovare milligrammi di cioccolata tra giga tonnellate di merda.

Ci siamo sparati da Peschiera del Garda a Brescia in reciproca/finta indifferenza. Ogni tanto lei guardava me, e viceversa. Nulla di sessuale (da parte mia). È normale che prima o poi gli occhi si posino su un essere umano che ti si è seduto a neanche un metro dal grugno.

Quando siamo arrivati alla stazione di Brescia ho visto che stava per salire un fottio di gente, mi sono allarmato, non volevo nessuno tra le palle; il sedile di fronte e quello alla mia destra erano liberi. Spazio vitale. Se arrivava qualcuno era un casino. Avevo tra le palle (letteralmente) la chitarra (che prima mi sono scordato di menzionare, dando per scontato che tutto il mondo faccia l'associazione *amplificatorino = chitarra acustica) e il piccolo recinto sarebbe diventato ancora più stretto.

Se ciò che è successo – fino all'anno scorso - mi avrebbe fatto piacere, quest'anno N-O.

Arrivano 3 fighe stratosferiche (le avevo già notate tra la bolgia; iper appariscenti, le signorine).
Si siedono rispettivamente alla mia destra, di fronte e l'altra un po' più in là sul lato del finestrino opposto a dove ci sono io, che mi sono fatto piccolo piccolo per permettere alla signorina di allungare i piedini senza che la chitarra interferisca con le sue ovaie.

Partiamo.
Le pollastre indossano oscuri occhiali rigorosamente oscurati che le anonimizzano ¾ della parte superiore del viso. Praticamente si vedono bocca, mento e un pochino di guance (non che sia tutto questo peccato, visto che, a quanto pare, sono di quegli esserini [tipo me] che da tanto hanno divorziato col sorriso).

Scambiano quattro chiacchiere sul caldo, sulla crisi economica, sull'assurdità di certe leggi (“Il dentista dice che per legge mi devo cambiare i guanti ogni volta che c'è un paziente, e che mi devo sempre lavare le mani, ma io non posso cambiare i guanti, lavarmi le mani cento volte al giorno” [cosa siamo, un paese di cariatidi?!?!? Cento volte al giorno = 100 clienti al giorno; una nazione di carie con dentisti miliardari]), infine parlano se sia il caso di rifarsi le unghie. Quella di fronte dice che lei, puntuale, se le fa ogni volta che va in vacanza, che le tiene due settimane poi le toglie, perché a lavoro sono scomode e non sono igieniche.

Una tira fuori il telefono. Le altre la imitano.
Si son fatte Brescia/Milano messaggiando con persone altrove.
Ognuna poteva contare su 2, ben due interlocutori presenti lì fisicamente, eppure hanno preferito dialogare per iscritto con chi non era lì con noi, stipato come sardine o.g.m. in sedili zozzi e malconci.

Piuttosto che farmi il mio bel monologone accusatorio sull'alienazione, l'inconsapevole sudditanza psicologica predominante nell'attuale dittatura tecnocratica e minchiate varie, ho preferito concentrarmi sul panorama fuori dall'oblò (niente male), cercando di non pensare troppo a che pezzi suonare (non mi sono preparato la scaletta).

Arriviamo a Milano, un putiferio di anime in ritardo, in fuga. Incazzate. Rimango incantato. Mi sembra di essere il personaggio di un videogame della Playstation3 difettoso in cui le persone si muovono a velocità x4 mentre io sono a x1,3 (non fossi stato agitato avrei detto x1).

La stazione è mastodontica. E massonica: simboli astrologici ed esoterici ovunque, persino una statua di Bacco e una di Prometeo, incastonata in alto.

Sono sulla scala mobile, e sono l'unico a guardare in alto anziché dritto col paraocchi per estraniare i lati.

Due tossiche vistose (una si sta facendo Crest; cazzo, come me ne berrei una anch'io, con tutto 'sto caldo), parlano di come sia stato “stronzo il figlio di puttana che le ha messo le mani addosso e gli sbirri non hanno detto un cazzo, cioè, no, ma ti pare?, sbirri bastardi”.

Ora mi sento a casa. Tra laureati a Oxford in “buone maniere” come me sento il profumo di caminetti, di minestrone, di serate in famiglia

Prendo la Metro per un soffio e in due soffi sono a piazza Duomo.
Salgo le scale dopo la scritta Exit sapendo lo spettacolo che troverò (c'ero già venuto una volta da bambino). Mi sembra quella bellissima scena a rallenti de “Il Gladiatore”, quando Commodo pugnala Rasselcrò prima del combattimento finale, poi l'elevatore li porta dal sottosuolo alla superficie, bombardata da un sole oscenamente picchiante.

Il Duomo: imponente costruzione secolare, frutto di una scuola architettonica virtuosa caratterizzata arazzi, ghirigori di maestosità e...
Sì, vabbene, nce ne frega 'ncazzo.
Aò, io devo suonà e non so manco dove mi devo mettere, figurati se mo mi metto a contemplare la bellezza di 'sta minchia.
… ciò che si chiama “egoismo ansiogeno architettonico”.

Il comune di Milano mi ha accordato il permesso (che ho dovuto implorare un mese fa, sennò col cazzo che potevo suonare su un “suolo pubblico” di proprietà di privati ed s.p.a.) in cui c'è scritto che posso esibirmi dalle ore 17 alle 20 nella postazione C3.

C3?
Ok, pensai, quando arriverò a Milano capirò dov'è/com'è fatta una postazione C3. Magari ci sono posticini strategici evidenziati, recitanti, delimitati da strisce colorate come nei parcheggi numerati, e quando leggerò C3 dirò “Sì, ecco, questo è il mio C3”.
Col cazzo.

Ho tentato di chiedere informazioni a un ritrattista giapponese. L'espressione zen con cui stava pennellando mi ha fatto desistere.
Ho chiesto a dei mastini ipertrofici stipati in un furgone.
Hanno detto che la postazione era ubicata dalla parte opposta.
Dalla parte opposta c'è una camionetta di carabinieri inquietantissima. Mi avvicino, parlo all'autista. Dalla reazione è come se parlassi una lingua arcaica e schifosa. Aggrotta la frotne. – Chiedi al collega. - Circumnavigo la camionetta verso il collega, che mi dice che è là, sotto i portici, in direzione della statua.

Monto l'attrezzaturina a 3 metri dall'ingresso della libreria Mondadori, dentro la quale entreranno si e no cinque, sei persone durante le 3 ore di permanenza.

Mi faccio una biretta nell'attiguo bar gestito indiani. Quello dietro al bancone parlava nasale e squillante, come se gli avessero strappato le palle con una tenaglia, in senso di devozione a una divinità sadica.

Mancano 30 minuti all'ora X.
E io comincio lo stesso; male che va mi scassano le palle.

Decido di iniziare con un mio arrangiamento (in fingerstyle) di “Eye in the sky” di Alan Parson, poi un altro arrangiamento di “Mamma Mia” degli Abba, poi parto con un po' di improvvisazioni arpeggiate, cercando di tradurre lo spirito del Duomo in suono.

Un uomo poggiato sulla colonna alle mie spalle da un quarto d'ora. “Sbirro in borghese?”, penso mentre lo scruto scrutarmi. Si rivelerà l'unico in tutta piazza Duomo che mi ha degnato di considerazione. Apprezza il mio lavoro al punto da farmi scivolare 0,50 centesimi (due pezzi da venti, uno da dieci) nella ciotolina dell'insalata che ho deciso di usare al posto del comune cappello.

Saranno gli unici soldi della giornata.

Suono suono; forse non risuono. Mi passano di fronte come se non esistessi, come se non ci fosse nessuno seduto, con una chitarra in mano, praticamente in mezzo alla strada.

Alle 19:45 mi sono già bello che rotto i coglioni; non mi si incula nessuno.

Non ero felice ma non potevo nemmeno lamentarmi, conscio di aver suonato benissimo con grandissima disinvoltura.

Metro, stazione, corsa al binario 11.
Ce l'ho fatta per un pelo.

Arrivo a casa che sono distrutto, maciullato, come se avessi scalato tre montagne coi pesi nelle scarpe.

Mangio, cazzeggio, poi vado a nanna.

Mi sveglio alle 6:30.
Doccia, vestizione, preparazione.
Entro in macchina, corro a casa di Simona.

Dove stavamo andando?

Be', se uno va a suonare in piazza Duomo, in mezzo alla totale indifferenza, dove può andare qualche ora dopo?
Ma a Garda, in un hotel dove Gurunath terrà un seminario sul krya yoga che durerà fino alle 20:45.

L'esperienza meriterebbe un saggio a sé.
Quanto vissuto in 12 ore andrebbe divulgato.
Per chi fosse interessato, consiglio di vivere l'esperienza in prima persona.
Sono di quelle cose che ti cambiano la vita che neanche il più grande scrittore potrebbe anche solo suggerire.

Un piccolo appunto: il krya yoga non è uno stile di yoga contorsionistico tipo quelli che siamo abituati a vedere in tv.
Si fa da seduti, respirando.
È una meditazione basata sul respirare attraverso i chackra e la colonna vertebrale, lungi dal toccarsi la punta degli alluci con la lingua.

Gurunath è... cosa “non” è!
Vi dico soltanto, a voi, utenti del web invaso da complotti, alieni, maghi, stregoni e roba varia.
Vi sarà mai capitato, almeno una volta, di leggere del fenomeno dello “Shape shifting”, no?
Quel fenomeno (imputato ai “rettiliani”) che consiste nel “Cambio di forma” di una persona.

Ci sono tanti filmati della regina d'Inghilterra, di giornalisti, di personaggi dello spettacolo che cambiano faccia, cambiano forma.
Modificare un filmato è roba da niente.

Io quella roba l'ho vista dal vivo, sabato, insieme ad altre 60 persone.

Il maestro ha detto: - Adesso vedrete quello che sono.

Con questi occhi ho visto un uomo - seduto a tre metri da me - diventare Leonardo da Vinci, Attila, Mosé, un leviatano, Pierino/Alvaro Vitali con tanto di berretto (non sto scherzando, anche se dire una cosa simile vi da il diritto di mandarmi affanculo in questo e nell'altro continente), poi una figura indistinta fatta di luce accecante che vibrava e abbagliava, come se avessero messo una forchetta bagnata dentro un forno a microonde.

È durato circa 5 minuti.

Io non ci capivo più un cazzo, nemmeno gli altri.

Una ragazza è scappata dalla sala a gambe levate. Quando è tornata il maestro le ha chiesto se era appena arrivata. Ha risposto che lei è una molto scettica, razionale, scientifica.
Era uscita perché non voleva disturbarci coi singhiozzi.
Con le sue lacrime.

E la capisco.

A parte questo presunto “gioco di prestigio” (fin quando non lo vedrete coi vostri occhi dubito che possiate crederci; non ci avrei creduto nemmeno io) che mi ha portato a rimettere in discussione tutto quello che fino a quel momento credevo “vero”, “reale”, il krya yoga è una forma di meditazione eccezionale.

E non preoccupatevi; anche se inizierete a praticare il krya yoga potrete tenervi le vostre belle facce di merda.
Non diventerete Alvaro Vitali.
Promesso.

Bene.

Ora posso tornare alla mia routine.

Devo andare a pagare le bollette.

Ci si legge settimana prossima.

O anche no.

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